Non puoi aprire il mio cancello

Non possiamo cambiare gli altri, ma solo noi stessi.

 

“Nessuno può convincere un altro a cambiare. Ciascuno di noi è custode di un cancello che può essere aperto solo dall’interno. Noi non possiamo aprire il cancello di un altro, né con la ragione né con il sentimento” – Marilyn Ferguson.

 

Lei brontola perché lui si isola, lui si isola perché lei brontola: è sempre colpa dell’altro!

Quando c’è un contrasto o un conflitto, tra partners o tra amici o colleghi, spesso si ragiona nei termini di ragione e torto (e l’altro ha in genere torto, visto che io ho ragione!). Questo modo di ragionare è facilitato dalla credenza in una sola verità assoluta, piuttosto che dall’evidenza che ci sono tante verità relative quanto i punti di vista degli interlocutori. Ognuno ha sempre un po’ ragione dal suo punto di vista, ma la logica della ragione e del torto netti allontana l’intesa comunicativa invece che aiutare a dialogare.

Il terzo dei cinque assiomi o principi della pragmatica della comunicazione umana, derivati dagli importanti studi sulla comunicazione condotti a Palo Alto, e pubblicati nel 1967 da Paul Watzlawick e colleghi, indica che la natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze delle comunicazioni tra i comunicanti. Semplificando, un’ipotetica Francesca può decidere che senso dare agli scambi comunicativi con il fidanzato Carlo (dove mettere la punteggiatura), e attribuire le proprie azioni a una reazione ai comportamenti di lui, negando un’influenza reciproca tra loro due, e che il proprio comportamento è anche un po’ causa del comportamento dell’altro. Uno dei maggiori esperti di negoziazione, William Ury, ha usato la metafora del ballo di coppia, notando che per ballare il tango bisogna essere in due, e così per litigare ci vogliono due persone, implicando una certa corresponsabilità nelle liti. Se si pensa che la parola comunicazione deriva dal latino e richiama il mettere in condivisione qualcosa, si può pensare ad uno scambio di informazioni e reciprocità tra comunicanti, un imparare ognuno il punto di vista dell’altro e il mettere a disposizione dell’altro il proprio.

 

Voglio consigliarti per aiutarti a migliorare, o sto cercando di vivere la tua vita al posto tuo?

Nei casi in cui non veniamo rispettati potrebbe essere utile dialogarne, ma in tutti gli altri casi potrebbe essere anche utile rivedere le nostre aspettative. Ci sono dei comportamenti dell’altro che vorremmo correggere, come quelli che percepiamo come cattive scelte sul lavoro o nel rapporto con amici o parenti. Vale la pena anche riflettere che le scelte potrebbero essere cattive dal nostro punto di vista, ma non da quello dell’altro. In secondo luogo, stiamo dando un aiuto, o stiamo pretendendo che l’altro viva secondo i nostri canoni, e allora senza rendercene conto stiamo cercando di vivere la vita dell’altro?

 

Dire all’altro cosa deve fare può abbassare la sua percezione di autonomia o farlo allontanare.

Se si parla di rapporti tra adulti, dire a un’altra persona cosa deve fare potrebbe provocare effetti diversi da quelli desiderati. Se un consiglio non è richiesto potrebbe non essere gradito, e la persona potrebbe anche impuntarsi ancora di più sulla propria posizione. O potrebbero derivarne degli attriti con l’interlocutore, percepito magari come portatore di consigli utili dal punto di vista della logica, ma davanti al quale si può avere una reazione emotiva di rifiuto. Si potrebbe per orgoglio non voler accettare un consiglio da chi pare mostrarsi superiore a noi.

Se un consiglio è richiesto, invece, darlo senza la possibilità di riflettere sulle opzioni a disposizione potrebbe sembrare un aiuto per uscire dall’impasse, a breve termine, ma a lungo termine potrebbe portare a diminuire la percezione di essere autonomi ed avere le risorse per potersela cavare. L’aiuto migliore (per l’autonomia decisionale dell’altro favorita a lungo termine) è quello in cui si pratica un ascolto attivo e non giudicante, si supporta l’altro nella riflessione e nel visualizzare le opzioni, ma gli si lascia prendere la decisione da solo.

 

Tempo speso per cercare di cambiare l’altro: dai per assodato che tu non ne abbia bisogno?

Quando cambiamo il modo di porci nei confronti di qualcuno, capita di renderci conto che il suo atteggiamento nei nostri confronti cambia, e possibilmente anche le sue azioni. Per contribuire a questo cambiamento abbiamo dovuto mettere in gioco il nostro modo di pensare e di fare. E allora il problema di cambiare gli altri presuppone ancora una volta la questione di cambiare noi stessi. Così, a ognuno resta la responsabilità e il potere di aprire il proprio cancello.

Giovanni Iacoviello

giovanni.iacoviello@gmail.com

 

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