Esercizi per una splendida brutta figura – ultima parte

Due pesi e due misure per la bravura nostra e degli altri?

Spesso guardiamo i comportamenti e i risultati degli altri. Quando va bene lo facciamo per trarne ispirazione. Altre volte per confrontarci ed evidenziare ciò che ci manca per essere come loro. Oppure, ancora peggio, ci disperiamo per non essere ai loro livelli, pensando che non riusciremo mai ad eguagliarli.

Nel fare i confronti con gli altri, come ad esempio con quel tale compagno di corso all’università che ha studiato solo due giorni per prendere trenta, mentre noi abbiamo dovuto studiare per un mese, ci sfuggono di mente tante cose.

Una è che la gente per l’effetto della desiderabilità sociale, cioè dell’immagine positiva che vuole dare di sé, tenderà a raccontarsi in modo da fare la migliore figura possibile, tendendo consapevolmente o no ad esagerare.

Un altro aspetto è quello dell’organizzazione. Non sapremo mai se il compagno “da trenta” ha seguito e preso molti appunti e ha già studiato durante il corso, e negli ultimi due giorni ha solo ripassato. Inoltre non sapremo mai se grazie ai suoi studi superiori o alla sua passione personale il compagno fosse già esperto degli argomenti dell’esame.

Insomma è impossibile fare un confronto obiettivo tra le abilità di due persone in un compito in senso assoluto attraverso le loro performance attuali, perché ci manca la verificabilità delle informazioni riguardo al loro training.

 

La sfida più importante con se stessi.

Se essere obiettivi è impossibile, allora confrontarci con gli altri può diventare addirittura controproducente. Può essere più utile cercare di superare noi stessi.

Fare meglio ogni giorno nelle attività in cui ci applichiamo è spesso inevitabile. Nelle nostre mansioni abituali ogni giornata in cui ci adoperiamo in un’attività o esperienza non possiamo tornare indietro in termini di apprendimento.

Possiamo al limite restare ugualmente efficienti, ma è molto più probabile che faremo di più perché avremo accumulato esperienza ed attività pratica (allenamento), sapremo organizzarci meglio, e saremo più critici ed esperti sulla qualità del nostro lavoro.

Potendo rendere conto a noi stessi dei nostri risultati è possibile comprendere tutte le variabili coinvolte, operare un confronto obiettivo e partecipare ad una sfida realistica e stimolante. Da questo punto di vista la sfida più importante è quella con se stessi.

 

Allenarsi a migliori performance o a migliori brutte figure?

A volte per vincere è utile perdere. Per vincere dove si gareggia contro due avversari insieme, cioè la difficoltà di un compito e il giudizio degli altri mentre lo si esegue, può essere utile darsi la possibilità di sbagliare, o di fare brutte figure.

Se provando a fare una cosa per la prima volta mi ponessi l’obiettivo di riuscire perfettamente avrei successo? Probabilmente no. Quindi avrei poco margine di errore e la mia paura di sbagliare sarebbe alta. Una grossa fetta della mia energia verrebbe bruciata da questo pensiero e dalle relative emozioni.

Se come obiettivo invece avessi quello di fare errori o brutte figure, mi allenerei in quelle cose senza sprecare energie temendo di sbagliare, un po’ come si racconta riguardo allo stile Zen nell’arte del tiro al bersaglio giapponese, dove pare ci si alleni inizialmente a non colpire il bersaglio.

Riducendo ad un paradosso: l’arte dell’eccellere è “l’arte di fare errori provando”, riuscendo nel contempo ad utilizzare ciò che abbiamo imparato dagli errori per progredire.

Ecco allora che, contro ogni buon senso, per imparare a fare bene potremmo allenarci a fare una “splendida” brutta figura.

Esercizi per una splendida brutta figura

Prima parte.

“La vita non è ciò che ci accade, ma ciò che facciamo con ciò che ci accade”.

Aldous Huxley

 

Immaginate un mondo in cui le brutte figure sono apprezzate. Immaginate un mondo in cui le persone non si vantano delle avventure che hanno vissuto, ma delle figuracce che hanno fatto, gonfiandole ed esagerandole.

Magari in quel mondo non esisterebbe la vergogna, oppure la si proverebbe per motivi diversi da quelli per cui la proviamo noi (magari per non avere fatto molte brutte figure!).

 

Il rapporto con gli errori e gli spettatori.

Che forma ha la minaccia? Com’è nata? Da bambini esploravamo l’ambiente, e poi magari abbiamo toccato la caffettiera e ci siamo scottati. Quindi la caffettiera è diventata una minaccia, e abbiamo imparato a starne lontani. Come ci poniamo di fronte agli errori? Evitiamo i contesti in cui possiamo sbagliare per non scottarci più? Che cosa ci ha scottato? Quello che pensiamo di noi, o quello che pensano gli altri?

 

Prepararsi all’infinito per rimandare la sfida con la brutta figura.

A volte per evitare una brutta figura, o una scarsa performance in un compito in cui non ci sentiamo abbastanza allenati o in cui abbiamo degli spettatori che percepiamo come giudicanti o esigenti, possiamo utilizzare come strategia di difesa l’evitamento. Evitiamo quindi la situazione che ci mette nella condizione di provare ansia da prestazione. Il poeta Fernando Pessoa diceva: “Porto le ferite delle battaglie evitate”. L’evitare una situazione stressante o minacciosa fa star bene al momento, ma nel futuro ci porta a rimpianti. Avendo evitato certi contesti e situazioni abbiamo anche perso molte occasioni per crescere, migliorare, conoscere gente nuova, avanzare professionalmente, etc. Forse sono i rimpianti le “ferite” di cui parlava Pessoa. Rimandare all’infinito una cosa che dobbiamo fare, quindi, non è la strategia migliore, anche perché più evitiamo, più diventa vero nella nostra mente che quell’evento è minaccioso, piuttosto che un’opportunità che possiamo cogliere.

A volte cerchiamo all’infinito informazioni su come fare bene una cosa, per sentirci pronti, leggendo magari articoli e libri. Però anche questa è una forma spesso mascherata di “rimandite”, dato che non avremo mai la quantità giusta di teoria per sentirci bravi in qualcosa. Ci sentiremo bravi solo dopo aver fatto della pratica. L’atto di acquisire teoria finché non siamo esperti ci fa cadere in un circolo vizioso che non ci porterà mai a far pratica.

 

Lao Tzu: “rispondi in maniera intelligente anche a chi ti tratta stupidamente”.

A volte evitiamo di metterci alla prova in certi compiti e situazioni perché abbiamo paura di ricevere critiche che possono farci male. Magari ne abbiamo avuto esperienza, e un certo giudizio forse non ha fatto chiudere occhio a qualcuno di noi in una qualche notte della nostra vita. Però anche qui possono esserci diverse opportunità. :

Potremmo certamente subire le critiche e i giudizi pesanti, sentendoci delle vittime inermi, impossibilitati a difenderci da queste situazioni in cui siamo incappati per sfortuna

Però potremmo anche sviluppare la capacità di “incassare” le critiche degli altri, e allenarci nel dare meno peso ai loro giudizi, in modo che le critiche con l’allenamento non ci faranno più male. Dalle risposte che diamo ai giudizi degli altri gli facciamo capire che peso gli attribuiamo. Se rispondiamo con stizza, con dispiacere o piagnucolando chi ci ha trattato “stupidamente” può sentire di essere superiore, o di avere colto nel segno, o di avere potere su di noi. Ma potremmo rispondere anche come chi non è rimasto intaccato per nulla, e farci scivolare addosso le critiche improduttive. Se pensiamo che in realtà è l’altro in difetto perché ha delle scarse abilità sociali nel momento in cui si prende la libertà di criticare pesantemente qualcuno mancando di tatto, allora possiamo avere una lettura della situazione diversa e rispondere in un modo che ci fa apparire più adattati e meno indifesi nella situazione. Quindi possiamo dare il giusto peso a certe parole, e cioè un valore basso, e rispondere agli “stupidi” esibendo l’abilità di cui difettano, cioè la buona educazione.

 

… giovedì prossimo l’ultima parte…

Si possono trasformare le critiche in risorse? – ultima parte

Più stupido lo stupido o chi dice stupido allo stupido?

Al di là del fatto che esista o meno una vera intelligenza misurabile con test non influenzati culturalmente (provate a stabilire quanto è intelligente l’indigeno che non ha risposto alle domande di un test e quanto è “stupido” uno studente dotato di 160 di Q.I. nel districarsi e sopravvivere in una foresta sperduta nel mondo), anche grazie agli studi neurofisiologici sulla plasticità neurale non si potrebbe affatto sostenere che l’intelligenza sia totalmente innata. Piuttosto, più si pratica una materia o disciplina, e più la si impara, e più l’impressione degli osservatori è che noi siamo molto intelligenti e abili, o dotati, mentre le rappresentazioni neurali e le sinapsi relative si incrementano. Quindi sarebbe più plausibile l’affermazione che siamo tutti intelligenti in quello che sappiamo fare meglio, più di altri che lo fanno male, e meno di quelli che sanno fare qualcosa che a noi non riesce, ma solo in quella cosa.

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Si possono trasformare le critiche in risorse?

Il giudizio e le critiche.

 

“La tendenza a giudicare gli altri è il più grande ostacolo alla comprensione e all’ascolto”.

Carl Rogers, psicologo.

 

Critiche: funzioni negative e positive.

Dietro alla parola “giudicare” usata da Rogers parrebbe esserci una connotazione negativa, forse riferendosi l’autore alle critiche improduttive, al puntare il dito su difetti e differenze. Potremmo però anche rilevare delle situazioni in cui c’è una sfumatura semantica positiva nella parola: il giudizio in quei casi potrebbe essere una valutazione in senso lato e, perché no, anche positivo.

Anche se la connotazione del giudizio fosse negativa, però, non è detto che non se ne possa guadagnare qualcosa. Di per sé la critica verso l’altro è una strategia comunicativa fallimentare, come hanno indicato a inizio ‘900 il formatore Dale Carnegie e ai giorni nostri lo psicoterapeuta Giorgio Nardone nel libro “Correggimi se sbaglio”, al di là dei possibili intenti “positivi” che possono motivare tale azione. Questo perché criticare l’altro lo può ferire o mettere sulla difensiva, suscitare risentimento e far chiudere in lui il canale dell’ascolto, nonché guastare la relazione almeno in un certo momento o situazione.

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Dalla Paura di Sbagliare… alla Voglia di Rischiare – Parte III

Scambio di persona: fallito per virtuoso.

A che insieme appartiene l’elemento “errore”? Spesso, come abbiamo visto, lo assimiliamo agli oggetti e agli elementi appartenenti alla persona fallita presa nella sua interezza, come avviene nel caso seguente.

Un ragazzo vuol far parte di una squadra di baseball, ma non è in grado di lanciare e ricevere bene, ed è spaventato dalla palla, così dice al suo coach che pensa di lasciare la squadra perché è un “cattivo giocatore di baseball”. Questa storia ci viene raccontata da Robert Dilts, e alle parole del ragazzo seguono quelle del coach, che portano a fare uno di quei “viaggi di scoperta” che possiamo realizzare stando fermi ad ascoltare: “Non ci sono cattivi giocatori di baseball, ci sono solo persone che non hanno fiducia nella propria abilità di imparare”.

Il ragazzo con che occhi guarda e valuta il fallimento? E con che occhi invece lo guarda e valuta il coach? Essi “vedono” due persone diverse. Il primo una persona incapace, l’altro una persona che sta imparando. La storia di Dilts continua così: “Il coach rimane in piedi di fronte al ragazzo e gli mette la palla nel guantone, facendogliela tirare e poi riprendere. Poi fa un passo indietro, gli lancia delicatamente la palla nel guanto, e il ragazzo la rilancia. Un passo dopo l’altro, il coach si sposta sempre più lontano…” e qualche tempo dopo il ragazzo diventa un elemento prezioso per la sua squadra.

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