I segreti del successo?

“Chi non riesce ad accettare una sconfitta, non riuscirà mai a vincere”

Winston Churchill

 

Ci sono scorciatoie per il successo? Molti ne parlano e vendono i loro “segreti” in libri o video-corsi.

Forse in fondo i segreti per il successo li sappiamo tutti. Costanza, determinazione, non avere paura di fare fatica e qualche sacrificio, saper timbrare il cartellino anche più tardi dell’orario se serve. Il resto probabilmente sono dettagli.

Scorciatoie temporali.

Per riuscire a risparmiare tempo, a volte forse bisogna investirne un po’. Organizzarsi bene il tempo richiede tempo per farsi delle tabelle di marcia con i propri obiettivi e una scala di priorità. E  tempo per valutare i risultati, l’efficienza della propria organizzazione, riaggiustare il tiro su obiettivi e priorità. E tempo per provare nuove strategie di gestione del tempo.

Obiettivi realistici e in positivo.

Il modo migliore per deluderci è porci degli obiettivi troppo ambiziosi. La probabilità di non realizzarli sarà alta, e quasi sicura la nostra delusione. Non saremo stati poco bravi nel compito, ma nel porci l’obiettivo. Non bisogna rinunciare del tutto a un dato obiettivo, ma se è il caso diamoci più tempo o spezzettiamo in obiettivi più raggiungibili. Come diceva Einstein: “se un problema è grosso, fallo a pezzi”. Inoltre pare che il cervello non distingua le entità in negativo. E’ sempre meglio porsi gli obiettivi in positivo. Evitiamo il desiderio di non sbagliare, che ci può far focalizzare sugli errori, ma poniamoci l’obiettivo di riuscire.

Ispirarsi ma non imitare.

Ci dicono da sempre di osservare i modelli di eccellenza. Il che è utilissimo. Però ispirarsi ai grandi non vuol dire fare le cose esattamente come loro, ma solo imparare quello che possiamo e poi mettere in pratica sviluppando il nostro stile personale.

Il rapporto con gli errori e gli insuccessi.

“La vita non è ciò che ci accade, ma ciò che facciamo con ciò che ci accade”, diceva Aldous Huxley. Quindi possiamo rinunciare perché abbiamo fallito, e non provare più. Sicuramente non provare di nuovo ci eviterà un altro insuccesso, ma anche la possibilità di realizzare il nostro obiettivo. E’ utile imparare a considerare gli errori come opportunità per quello che ci insegnano, e integrare tale insegnamento nei nostri successivi tentativi.

Ti meriti di dire la verità? Sulle bugie bianche.

Tempo fa ad un seminario di autostima sorse il tema delle “bugie bianche”, ovvero quelle bugie che si dicono per non fare stare male il nostro interlocutore.

Ne nacque una discussione accesa, che durò un bel po’. Il pomo della discordia era se una persona con una buona autostima, una comunicazione efficace e una prospettiva assertiva avrebbe detto o meno le bugie bianche.

L’argomento era interessante e i partecipanti non sembravano mollare la presa, dunque demmo spazio alla discussione.

Da una parte alcuni sostenevano che una persona con una buona autostima si pone in rapporto positivo con gli altri, e riesce a dare anche notizie sgradite con il dovuto tatto per non provocare nell’interlocutore una reazione troppo spiacevole.

Dall’altra ribattevano che dire sempre e solo la verità può causare nell’interlocutore un certo malessere nel caso in cui l’informazione tocchi tasti sensibili. Dunque la persona che mira ad un buon rapporto con l’altro strategicamente mente per farlo sentire a suo agio, per proteggerlo da notizie dolorose e per mantenere una relazione positiva.

I primi, contrari alle BB, ammettevano che in alcuni casi la verità può essere spiacevole per il nostro interlocutore, ma che sta a noi rivelargliela e aiutarlo a gestire le sue emozioni. Questo atteggiamento, alla lunga, dicevano che paga in quanto spinge l’altro a “crescere” e a migliorare la propria gestione delle emozioni. In più il rapporto si fortifica basando le radici sulla fiducia e sulla sincerità.

I secondi, quelli favorevoli, asserivano che proteggere l’altro da una emozione negativa è più importante che cercare di farlo crescere, specie se nel contesto non vi sono possibilità di affrontare la questione in modo approfondito.

Durante la discussione sono stati fatti vari esempi da entrambe le parti. Uno mi ha colpito particolarmente: il caso di un figlio che mente sulla destinazione di un viaggio di lavoro al genitore anziano e ansioso. Nello specifico un uomo “avvicina” la meta della trasferta per non fare preoccupare il padre. E’ un ottimo esempio a favore delle BB: che vantaggio strategico avrei a dire la vera destinazione, lontana centinaia di km e caotica, sapendo che l’anziano si  preoccuperà e vivrà in modo agitato il periodo della trasferta? Non è meglio eleggere a meta del mio viaggio un tranquillo paesino a poche decine di km?

La fazione degli avversi mise l’esempio sotto una diversa luce: non è che magari mento sulla destinazione non perché non voglio fare preoccupare il parente anziano ma perché non ho voglia di ricevere decine di telefonate ansiose? E non ho voglia di doverlo rassicurare aggiornandolo periodicamente sulla situazione del traffico? E non mi sento in grado di aiutarlo a gestire (e superare) queste preoccupazioni (peraltro tipiche negli anziani)?

Il cambio di punto di vista fu interessante e convincente: messa così la BB sembra la scappatoia per chi non è in grado o non ha voglia di gestire il vissuto dell’interlocutore. Non protezione dell’altro, ma protezione di noi stessi e della nostra incompetenza. Come dire che solo i più “bravi” si meritano di dire la verità.

I favorevoli, impressionati, riuscirono poi a citare esempi in cui effettivamente il contesto non aiuta a gestire la situazione, come quando c’è poco tempo a disposizione, o ci sono degli estranei presenti. Arrivarono a fare ammettere ad alcuni “avversari” che in questi casi la BB è uno strumento utile per gestire la situazione nell’immediato, salvo poi chiarire la propria posizione in futuro.

Ho riportato quanto scritto perché sono curioso: ti è mai successo di dire una bugia bianca? In che contesto? Come ti sei sentito? E il tuo interlocutore? Pensi che la tua autostima abbia influito?

Scrivi quello che ti è successo, mi piacerebbe approfondire l’argomento.

A presto,

G. Petrucci

PS: sto riflettendo e a breve scriverò anche sul tema contrario: ci meritiamo la verità?

Le scorrettezze sono sempre quelle degli altri?

Il giudizio sulle nostre e sulle altrui azioni quotidiane

 

“Le cattive azioni degli uomini vivono nel bronzo, mentre quelle virtuose le scriviamo sull’acqua”

William Shakespeare

 

Nell’avere a che fare con gli altri, siamo imparziali osservatori, oppure tendiamo a classificarli e a spiegare le loro azioni con una certa tendenza? Siamo capaci nelle interazioni di riconoscere le nostre responsabilità e le attenuanti dell’altro, o tendiamo a fare il contrario?

La differenza tra attore e osservatore nell’attribuzione di caratteristiche.

Quando osserviamo e valutiamo i comportamenti delle persone, di solito tendiamo ad attribuirli alle loro qualità permanenti piuttosto che a fattori che riguardano la situazione. Lo psicologo sociale Luciano Arcuri ha fornito l’esempio di quando guidiamo l’automobile. Le scorrettezze degli altri ci sembrano stabili, mentre le nostre sarebbero situazionali.

Viene da pensare che vi sarà la tendenza a giudicare più negativamente l’attore osservato che noi stessi, che in quella particolare situazione possiamo avere una giustificazione contestuale. E’ facile allora avere una scusa per sé (oggi sono molto stanco), e un’etichetta per attribuire una caratteristica stabile agli altri (è una persona maleducata, è un pirata della strada, etc.).

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La vendita al tempo della crisi

Ne sento parlare in continuazione da amici, parenti, conoscenti, clienti, fornitori, radio, tv, giornali e passanti. Ne sono un po’ stufo. Di sentirne parlare e non capire. Quindi mi sono messo a fare domande del tipo: “cos’è per te la crisi?”, “come te ne sei accorto?”, “cos’hai notato di diverso?”.

Ognuno ha la sua risposta. Molte persone si focalizzano sul “perché” o sul “chi”: di chi è la colpa, perché siamo arrivati a questo, etc… Francamente adesso non mi interessa rispondere a questo genere di domande. Magari in futuro, quando ne saremo usciti. Ora voglio capire COME sono cambiate le cose e COME posso fronteggiare la situazione.

Vi espongo brevemente una serie di risposte che mi hanno fatto riflettere.

Ispirare grande fiducia.

“I clienti non si fidano più, hanno paura di prendere una fregatura, di incappare in uno squalo”.
Giustissimo: ci sono meno soldi nelle tasche quindi prima di fare un acquisto ci si pensa non due ma dieci volte. Oltretutto in un clima economico “freddo” come questo si sono moltiplicati gli “squali”: venditori disonesti che promettono cose che sanno di non potere mantenere per gabbare il cliente.
Molti di noi ci sono cascati (me compreso). Ma come reagire? La risposta che mi hanno dato alcuni venditori e commessi è di dare la possibilità di fidarsi: innanzitutto non mentire o confondere le idee al cliente. Dargli il tempo e lo spazio per riflettere. Fargli capire che possono fidarsi di noi, del nostro prodotto, della nostra azienda, ma senza dirglielo esplicitamente. Ricordiamo che chi dice di non essere ubriaco probabilmente lo è.

Patti chiari amicizia lunga, ovvero: meglio una gallina domani che un uovo oggi.

“Sempre più spesso i clienti si sono informati su internet delle caratteristiche dei prodotti e fanno domande molto tecniche e specifiche, al punto che a volte mi mettono in difficoltà”
Inutile arrampicarsi sugli specchi se poi veniamo facilmente smascherati: ammettiamo i difetti del prodotto o la nostra ignoranza. Se siamo a conoscenza di un problema diciamolo. Se non ci ricordiamo una caratteristica del prodotto ammettiamolo, invece di pensare: “Magari fingo e mi va bene. Magari non se ne accorge”.
Se compra il prodotto e a casa si accorge della magagna ci siamo giocati il cliente per sempre. E anche tutti i suoi amici. Un mio esempio personale: qualche tempo fa ho acquistato una linea telefonica voip + adsl da una delle maggiori compagnie. La venditrice mi ha garantito che avrei potuto usare i miei due telefoni fissi, come facevo prima. Alla prova dei fatti non è così. Quella compagnia non mi ha più rivisto, e neanche i miei amici. Se mi contattate vi dico qual è.

L’abbattimento dei prezzi: la concorrenza dei cinesi e dell’e-commerce.

“I clienti vengono da noi a chiedere informazioni e consigli, poi se ne vanno e comprano il prodotto online o dai cinesi.”
Non ho nulla contro i commercianti online o dell’estremo oriente. Fanno il loro lavoro e lo fanno bene. Tanto che spesso ci “rubano” i clienti. Ma come fanno? Come facciamo a recuperare la misura persa? Cosa possiamo offrire che loro non offrono? Si tratta di ridurre ulteriormente i prezzi a nostra volta o potremmo dare qualcosa in più?
Un possibile servizio aggiuntivo può essere l’assistenza post vendita: in molti forum su internet troviamo lamentele sui vari negozi online: per le spedizioni ritardate, per gli imballaggi danneggiati, per la non corrispondenza con le immagini sul sito, etc. Un problema molto sentito è ottenere il rimborso o il prodotto corretto. Noi siamo in grado di fare meglio? Probabilmente sì: è il nostro lavoro e ci mettiamo la faccia. Cerchiamo un rapporto umano con il cliente e non un semplice clic, cerchiamo di farci in quattro per risolvere i problemi.
Facciamolo notare al prossimo che ci chiama o ci visita. Cerchiamo veramente di fare la differenza, di offrire vere garanzie di problem solving a chi ha deciso di servirsi da noi. E se comunque fa il furbetto e va a comprare online… allora in bocca al lupo a lui! (Mi raccomando la comunicazione efficace: non insultiamo i nostri concorrenti e siamo cortesi anche con chi poi compra altrove!)

Ho raccolto altre risposte interessanti, che posterò man mano… Se nel frattempo vuoi commentare o raccontare la tua esperienza come venditore o come cliente ne sarei felice.

A presto!

Giovanni Petrucci

L’odio è… sete d’acqua salata?

“Chi, nel 1940, non avrebbe fatto salti di gioia all’idea di vedere gli ufficiali delle SS presi a calci e umiliati? Eppure, appena diviene possibile, ciò appare soltanto patetico e ripugnante”

George Orwell, Tra sdegno e passione

 

Quando vogliamo rivalerci di un dispetto o un torto subito lo facciamo per dimostrare la nostra superiorità sull’altro? Oppure la rivalsa è un gesto che si vorrebbe compiere proprio quando si è impotenti? Questa sarebbe la spiegazione dell’azione della vendetta di George Orwell in un saggio del 1945.

Che sia in un conflitto tra colleghi o tra coniugi, e viene il momento in cui l’altro non ha più potere su di noi, ci interessa ancora rivalerci? C’è ancora frustrazione e rabbia quando l’altro non ha più la possibilità di esercitare potere?

Spesso si prova frustrazione quando non si riesce ad avere il controllo della situazione, come quando non abbiamo il potere decisionale, o si subisce un potere imposto o l’invasione del nostro spazio. Probabilmente l’odio o il sentimento di rivalsa sopravvivono finché tale potere prevale sul nostro. Ma cosa accade quando quel potere viene meno?

Per fare un esempio: se abbiamo interrotto una relazione e ne abbiamo cominciata un’altra che ci soddisfa, che senso ha rivalersi ancora sul vecchio partner per vecchi screzi? Ci viene da  invidiarlo o odiarlo perché adesso ripropone quei comportamenti a qualcun altro? In teoria se non proviamo più sentimenti nei suoi confronti non ci dovrebbe importare affatto.

La rivalsa, come ha indicato lo studioso di comunicazione umana Paul Watzlawick, è come un viaggio di cui non ci godiamo il percorso, ma facciamo attenzione alla meta. E, una volta raggiunta, ci rendiamo conto che non è dolce come sembrava. Si potrebbe paragonare allora alla sete di acqua salata. Così pare accadere per un belga citato nel saggio di Orwell. Dopo aver visto un militare tedesco morto, il suo atteggiamento cambia radicalmente: “Alla sua partenza, diede ai tedeschi presso i quali eravamo alloggiati ciò che restava del caffè che avevamo portato noi. Solo una settimana prima, l’idea di regalare del caffè a un ‘boche’ l’avrebbe probabilmente scandalizzato”.

Quando non ci sentiamo più impotenti verso qualcuno, dovrebbe allora placarsi la nostra sete sterile di rivalsa, e forse al pari del belga citato non ripugnarci nemmeno più così tanto l’idea di offrirgli un caffè.