L’odio è… sete d’acqua salata?

“Chi, nel 1940, non avrebbe fatto salti di gioia all’idea di vedere gli ufficiali delle SS presi a calci e umiliati? Eppure, appena diviene possibile, ciò appare soltanto patetico e ripugnante”

George Orwell, Tra sdegno e passione

 

Quando vogliamo rivalerci di un dispetto o un torto subito lo facciamo per dimostrare la nostra superiorità sull’altro? Oppure la rivalsa è un gesto che si vorrebbe compiere proprio quando si è impotenti? Questa sarebbe la spiegazione dell’azione della vendetta di George Orwell in un saggio del 1945.

Che sia in un conflitto tra colleghi o tra coniugi, e viene il momento in cui l’altro non ha più potere su di noi, ci interessa ancora rivalerci? C’è ancora frustrazione e rabbia quando l’altro non ha più la possibilità di esercitare potere?

Spesso si prova frustrazione quando non si riesce ad avere il controllo della situazione, come quando non abbiamo il potere decisionale, o si subisce un potere imposto o l’invasione del nostro spazio. Probabilmente l’odio o il sentimento di rivalsa sopravvivono finché tale potere prevale sul nostro. Ma cosa accade quando quel potere viene meno?

Per fare un esempio: se abbiamo interrotto una relazione e ne abbiamo cominciata un’altra che ci soddisfa, che senso ha rivalersi ancora sul vecchio partner per vecchi screzi? Ci viene da  invidiarlo o odiarlo perché adesso ripropone quei comportamenti a qualcun altro? In teoria se non proviamo più sentimenti nei suoi confronti non ci dovrebbe importare affatto.

La rivalsa, come ha indicato lo studioso di comunicazione umana Paul Watzlawick, è come un viaggio di cui non ci godiamo il percorso, ma facciamo attenzione alla meta. E, una volta raggiunta, ci rendiamo conto che non è dolce come sembrava. Si potrebbe paragonare allora alla sete di acqua salata. Così pare accadere per un belga citato nel saggio di Orwell. Dopo aver visto un militare tedesco morto, il suo atteggiamento cambia radicalmente: “Alla sua partenza, diede ai tedeschi presso i quali eravamo alloggiati ciò che restava del caffè che avevamo portato noi. Solo una settimana prima, l’idea di regalare del caffè a un ‘boche’ l’avrebbe probabilmente scandalizzato”.

Quando non ci sentiamo più impotenti verso qualcuno, dovrebbe allora placarsi la nostra sete sterile di rivalsa, e forse al pari del belga citato non ripugnarci nemmeno più così tanto l’idea di offrirgli un caffè.

Perché dovremmo misurare le nostre parole?

“Le parole sono come pallottole”

Ludwig Wittgenstein

 

Perché dovrei misurare le mie parole? Perché non posso dire tutto quello che penso?

Il protagonista del film Bugiardo bugiardo, interpretato da Jim Carrey, non mantiene mai le promesse e suo figlio esprime il desiderio che per ventiquattro ore il papà dica la verità.

L’incantesimo si avvera, ed egli subisce una serie interminabile di guai.  Ad esempio in una scena si trova nell’ascensore dell’ufficio in compagnia di una nuova assunta bella e prosperosa. Lei gli racconta che si trova benissimo in azienda perché tutti sono gentili con lei. Lui risponde che con “l’equipaggiamento” che si ritrova tutti gli uomini la trattano bene per forza, ricevendo un bello schiaffo.

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