Sii te stesso, ma non esagerare…

Dal carattere immodificabile alle abitudini migliorabili.

 

«Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo» – Mahatma Gandhi

 

La parte positiva della storia di rimanere se stessi: stile personale, valori, coerenza.

La parte migliore della storia che ci raccontiamo dal titolo “l’importanza dell’essere se stessi” riguarda probabilmente il proposito di non imitare gli altri e cercare di sviluppare il nostro stile personale. O quello di non accettare di attuare comportamenti contrari ai propri valori per compiacere qualcuno, o quello di essere coerenti con le proprie idee. Tutti propositi lodevoli.

Se questi concetti vengono applicati in maniera incondizionata e non ragionata, però, rischiano a volte di portarci a un pensiero rigido e poco adattivo. Se una situazione mutando richiede una rivalutazione di una propria posizione o idea, restarvi ancorati potrebbe a volte rispondere più ad un desiderio estetico di non farsi cogliere incoerenti piuttosto che a un agire efficace. Ad esempio, nel film Invictus di Clint Eastwood, il giornalista chiede al presidente Mandela: “ho sentito dire che lei un tempo sosteneva chiunque giocasse contro gli Springbok”. La risposta: “Sì, ma ovviamente adesso non è più così, sono al cento per cento con i nostri campioni. D’altronde se io non sono in grado di cambiare quando le circostanze lo impongono, come posso chiedere agli altri di cambiare?”. In proposito, Ralph Waldo Emerson disse: “una sciocca coerenza è lo spauracchio delle piccole menti”. Nel caso di Mandela lo sport ha agito da “collante” tra opposte fazioni, e ha contribuito a sedare i contrasti interni in Sudafrica.

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Il libro più pratico che esista

Dalle conoscenze alle abilità, dalla didattica alla formazione esperienziale.

“La conoscenza è solo una chiacchiera finché non è nei muscoli”.

Proverbio della Nuova Guinea.

 

I libri: teorie e storie di vite vissute.

I libri racchiudono saperi a volte di una vita, o anche di più vite, di più autori. Un famoso adagio recita “conta più la pratica che la grammatica”, e questo viene spesso ricordato per “sgridare” chi insegna con le belle parole, dato che la pratica è quella che realmente conta. E’ vero anche che per fare pratica spesso non si può prescindere dal conoscere le basi di una data materia. Al contempo, avere le conoscenze su una materia o una tecnica non significa essere bravi ad applicarla. Da una parte viene in mente Kurt Lewin: “non c’è nulla di più pratico di una buona teoria”, perché se questa è ben collegata alla pratica non la sostituisce ma la integra sinergicamente. Dall’altra possiamo ricordare le parole di George Bernard Shaw: “se insegni qualcosa a uno, non l’imparerà mai”. Possiamo leggere tantissimi ottimi libri e andare a lezione da grandissimi maestri, ma non ci potranno mai trasferire la capacità di fare qualcosa, che sia il parlare in pubblico, suonare la chitarra, comunicare efficacemente o nuotare. Se non ci “buttiamo” in vasca e non facciamo pratica, non integreremo mai le conoscenze con le competenze, e resteremo dei buoni “arbitri” o commentatori teorici di ciò che accade ma non dei buoni esecutori.

 

L’amore per la cultura è un buon inizio… l’azione un buon passo successivo.

E’ un’ottima abitudine per la propria crescita culturale e personale, anche dopo gli studi, continuare ad istruirsi, leggere, informarsi. Però a volte si rimanda la pratica, per vari motivi, o la si salta proprio, non completando con la parte più importante il processo di apprendimento. Forse è pigrizia, forse è paura, nascosta a noi e agli altri, di sbagliare. E che c’è di male nella paura di sbagliare? La cosa più importante, dato che essa non si può eliminare, è cominciare ad ammetterla, accettarla, permettere a se stessi la possibilità di fare errori e di accettarli. Poi si può cominciare a piccoli passi a sperimentare in contesti protetti. Perché darsi degli obiettivi troppo ambiziosi inizialmente, nella mole di lavoro e nella qualità (spesso pretendendo di saper fare subito le cose e in maniera perfetta)? Perché non darsi la preziosa possibilità di sbagliare e valorizzare gli errori come opportunità per imparare come fare meglio e progredire pian piano?

 

Se vuoi vedere, impara ad agire: la storia scritta, narrata, vissuta ogni giorno.

E’ un’ottima prassi per il nostro progredire continuare a leggere libri, articoli, acquistare audio e videocorsi, partecipare a webinar, se questo ci appassiona. Però ricordiamoci anche di darci degli spazi tra un libro e l’altro, o tra un audio e un post, per cimentarci con delle esercitazioni, oppure per focalizzarci nell’esercizio di una data abilità nella vita quotidiana e di monitorare i risultati su un quaderno, o di frequentare un corso pratico in cui oltre alla classica lezione “frontale” si fanno anche delle esercitazioni, come accade nella formazione esperienziale.

Il libro più pratico di cui possiamo disporre è la nostra vita, in cui scriviamo una pagina ogni giorno attraverso i nostri pensieri e parole, i processi discorsivi con gli altri e le nostre azioni, le nostre prove ed errori, e i miglioramenti inevitabili che la pratica comporta.

Errare è umano, perseverare è… determinazione?

“L’intelligenza non è non commettere errori, ma scoprire subito il modo per trarne profitto”

Bertold Brecht

 

Come reagiamo di fronte agli insuccessi? Smettiamo di provare? Puniamo noi stessi o ci rimproveriamo mentalmente molte volte? Oppure cerchiamo di ricavarne qualcosa?

 

Come non fare errori?

Esiste un modo per non sbagliare? Ci avete mai pensato? Non fare nulla. Chi non fa non sbaglia – recita un vecchio adagio – però non impara nemmeno. E non migliora le proprie abilità.

 

Come reagiamo agli errori?

Possiamo reagire agli errori risentendoci con noi stessi, sentendoci dei falliti, smettendo di provare ed evitando di avvicinarci ancora ai luoghi in cui abbiamo sbagliato. Magari rimuginiamo con pensieri negativi intaccando l’immagine che abbiamo di noi stessi.

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Si può vendere senza vendere?

L’impegno nello sviluppo delle abilità relazionali.

 

“Una persona che non sa sorridere non dovrebbe aprire un negozio”

Antico proverbio cinese

 

L’alto valore nascosto delle abilità umane: l’esperimento della biblioteca.

Alla fine degli anni ’70, in un esperimento, due gruppi di persone scelte casualmente furono riprese da una telecamera nascosta in una biblioteca mentre i libri da loro scelti venivano controllati dal personale. All’uscita veniva poi chiesto di compilare un questionario.

Nella prima condizione i bibliotecari erano tenuti a dare poca attenzione al cliente. Il risultato dei questionari fu concorde: il servizio era pessimo. La sorpresa fu che solo pochi citavano il personale tra le cause di insoddisfazione. Citarono invece: cattiva illuminazione, difficile sistema di archiviazione, etc.

Nella seconda condizione ai bibliotecari fu prescritto di essere gentili e favorire il contatto umano: sorridevano, guardavano negli occhi, chiamavano il cliente per nome, etc. Dai questionari risultò che erano quasi tutti soddisfatti del servizio. Anche in questo caso pochi citarono l’aspetto relazionale del servizio: c’era buona illuminazione, appropriata numerazione e catalogazione, etc. (L’esperimento è descritto in Alberto Fedel, Grazie per il reclamo, Franco Angeli, p. 70 e ss.).

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Nessuno mi può giudicare?

“La tendenza a giudicare gli altri è la più grande barriera alla comunicazione e alla comprensione”.

Carl Rogers

 

A volte nei gruppi di lavoro e nelle riunioni tendiamo a chiuderci e a non prestare la nostra collaborazione ai nostri colleghi perché li giudichiamo non corretti come noi, e quindi non meritevoli del nostro aiuto. Ma quando si è in una squadra, che sia sportiva o lavorativa, ci possiamo astenere dal lavorare con qualcuno degli altri? E se lo facessimo, vincerebbe la nostra moralità o il nostro egoismo?

 

Sospensione del giudizio.

Per lo studioso di creatività Edward De Bono, una delle regole da usare perché un brainstorming sia produttivo per risolvere problemi o per creare, è quello di produrre idee senza giudicarle e inibirle. Dovremmo sospendere il giudizio, perché lo scopo iniziale è produrre più idee possibili.

Senza contare che le critiche ad un’idea possono inibire qualche partecipante. Solo dopo aver prodotto tante idee si passa alla fase in cui si valutano e scelgono quelle più attuabili, gratificando tutti i partecipanti.

Se rifiutiamo o ostacoliamo sistematicamente le idee di un dato collega perché ci è antipatico, ci dimentichiamo innanzitutto che nessun tribunale ci ha investito dell’onere di fare il giudice, e in secondo luogo che rischiamo di privare la squadra di contributi utili.

Spesso inoltre è difficile distinguere i casi in cui abbiamo giudicato un’idea obiettivamente come inadeguata dai casi in cui l’abbiamo valutata male influenzati dalla nostra antipatia verso la persona che l’ha proposta.

Se siamo in posizione di leader è importante, per il bene del gruppo, non farci influenzare dalle nostre simpatie e antipatie nel giudizio sulle idee. Anche una persona antipatica può avere buone idee, e si dice che molti geni del passato sono stati ritenuti odiosi dai colleghi e collaboratori.

 

La focalizzazione positiva.

Un membro prezioso di un team è quello che sa dare il buon esempio, non quello che spinge per far valere la propria opinione ignorando quella altrui. E’ quello che stimola gli altri a dare il meglio.

Ma come è possibile che questo accada se ostacoliamo un membro del gruppo solo perché non lo riteniamo all’altezza?

Un buon membro di una squadra (e a maggior ragione un buon capitano) sa valorizzare gli elementi positivi di ognuno degli altri giocatori, in modo che ognuno contribuisca con i suoi punti forti. Se qualcuno ci sta antipatico non possiamo “buttare via tutto il pacchetto”. Quindi tanto vale sospendere i giudizi morali verso i colleghi nei momenti in cui si deve lavorare e produrre, e tenere conto il più possibile dei loro pregi più che dei difetti. A tal proposito, il saggista e filosofo Emil Cioran ha detto: “Non possiamo rinunciare ai difetti degli uomini senza rinunciare, nel contempo, alle loro virtù”.

 

Lo scopo sovraordinato comune a tutti.

Quando lavoriamo in un’azienda, in un gruppo, in una squadra, non possiamo pensare di avere degli scopi separati da quelli degli altri. Anche se i nostri modi di vedere le cose possono essere giustamente e utilmente diversi, non possiamo dimenticare che lavoriamo tutti per uno scopo comune. Molto spesso i litigi si dirimono realizzando questa pratica realtà. Non si possono combattere battaglie di idee personali con la logica della ragione e del torto. E’ più utile accettare incondizionatamente l’idea diversa dell’altro e cercare il modo di integrarla un po’ con la nostra per i fini della squadra, invece di tenerle separate e in competizione in modo sterile. Uno studioso della storia delle idee, Steven Johnson, sostiene che sono proprio gli ambienti e le piattaforme condivise ad accrescere la creatività e la redditività delle persone che vi operano. Quindi varrebbe la pena domandarsi se ostacolare la collaborazione con gli ‘antipatici’ faccia più bene o più male ai risultati complessivi del gruppo.