E’ etico usare l’etica per vendere (di più)?

Questa settimana voglio portare l’attenzione su alcuni temi spinosi. Spinosi perché coinvolgono argomenti molto soggettivi e opinabili. Ti voglio proporre le mie riflessioni, ma non è mia intenzione offendere nessuno.

 

Martedì mi è caduto l’occhio su un articolo di Repubblica (11 novembre 2014) sul rapporto tra etica, morale e vendite. Puoi reperire l’articolo in qualsiasi emeroteca, e ti invito a farlo. Mi ha interessato perché tra i vari argomenti che trattava c’era l’uso dell’etica nella vendita.

Raccontava che l’etica viene applicata da alcuni anche ad ambiti considerati di poca moralità come la pornografia. Raccontava che l’etica viene esibita grazie a dei “bollini blu” su sempre più prodotti, anche di uso comune. L’articolo poneva il dubbio che fosse etico vantarsi di essere etici per pubblicizzare i propri prodotti.

Mi sono sorte una serie di riflessioni.

La prima è che l’espressione “bollino blu” è entrata ormai da tempo nel gergo comune per indicare una certificazione di qualità o una abilitazione. Questa espressione, per quanto ne so, deriva dallo spot di una celebre marca di banane, che pubblicizzava le proprie bollandole, per contraddistinguerle da quelle di altri produttori di qualità inferiore.

Quindi se parliamo di “bollino blu dell’etica” stiamo già implicitamente parlando di un prodotto commerciale che vanta una qualità migliore della concorrenza.

La seconda riflessione investe il significato profondo della parola “etica”. Che cosa indica? Dopo averci pensato ho ridotto il problema al concetto di “rispetto”. Un comportamento è “etico” se chi lo mette in pratica rispetta il prossimo: rispetta i propri valori ma anche e soprattutto quelli dell’interlocutore. Ma in una società democratica, multiculturale e altamente normata non dovrebbe essere automatico e spontaneo comportarsi “eticamente”? Oppure, viceversa, non dovrebbe essere contro la legge comportarsi in modo non etico? Se prendiamo per buona questa definizione di “etica” allora ledere i diritti altrui non è etico ed è anche illegale.

A questo punto ho fatto un passo avanti: al rispetto del prossimo dobbiamo aggiungere anche quello per l’ambiente, inteso come ecosistema. E questo mi porta alla terza riflessione.

La terza riflessione che ho fatto riguarda l’etica applicata alla produzione di massa. Possiamo sostenere che un certo bene proviene da una catena di produzione “etica”? E che cosa vuol dire in questo caso “etica”? Che rispetta il cliente? Che rispetta i lavoratori? Che rispetta l’ambiente?

La quarta riflessione mi porta ad estendere il concetto ai servizi, cioè quell’insieme di prestazioni offerte da professionisti a beneficio delle persone che ne fanno uso, ovvero degli utenti.

Se un servizio è fornito in modo etico, seguendo il filo dei miei ragionamenti, deve rispettare i lavoratori coinvolti, rispettare l’utente e i suoi valori, rispettare l’ambiente (e di conseguenza rispettare la legge).

Fin qui tutto bene. Ma a questo punto si scatena la quinta riflessione. Se io fornisco un servizio (o produco un bene) che risponde ai parametri di cui sopra è etico vantarmene? Ovvero posso apporre sul frutto delle mie fatiche un simbolo che permetta ai miei potenziali utenti di capirne l’“etica” distinguendolo dagli altri e rimanere “etico”?

In soldoni: posso usare l’“etica” per vendere di più?

Nell’articolo era interessante il paragone tra i moderni “bollini blu dell’etica” dei cibi per i laici con i precetti religiosi della cucina Kasher e Halal. Se una persona abbraccia una fede che ha dei precetti alimentari (che derivano da antichi princìpi sanitari) si sente giustificato a mangiare quei determinati alimenti che sono consentiti. Ma se una persona è laica come fa a scegliere tra l’immensa varietà di prodotti presente sul mercato? E come la mettiamo con tutti quei cibi di cui si dice che “fanno male”? A ben guardare tutti gli alimenti contengono sostanze che se ingerite in quantità eccessiva “fanno male”. Quindi secondo l’articolo il laico si sentirebbe sollevato e rinfrancato a consumare prodotti che vengono marchiati come “etici” e che espongono determinati marchi o “bollini blu” per contraddistinguerli.

In questo caso il bollino guida la scelta del consumatore verso prodotti che lo facciano sentire meglio psicologicamente.

A monte della psiche dell’utente finale, la produzione di beni e servizi “etici” può avere effetti benèfici per i lavoratori, l’ecosistema e, in ultima analisi, la società?

Come avrai capito in questo post non ho voluto dare consigli su cosa fare e come, ma personalmente riflettere su questi temi ha fatto crescere la mia consapevolezza, e spero che accada anche a te.

Sarò molto contento di ricevere commenti sulle tue riflessioni, anche e soprattutto se contrarie alle mie opinioni.

Ti chiedo solo di scriverle in modo etico 8-)

 

Giovanni Petrucci

La valutazione, che stress!

La valutazione dello stress lavoro-correlato può avere dei vantaggi?

 Lo Stress Lavoro-Correlato (SLC) è lo stress derivante dall’organizzazione del lavoro, non dal lavoro in sé. Va quindi distinto dall’affaticamento normale dei lavoratori dopo la giornata di lavoro.

Nello specifico lo SLC può essere causato da comunicazione poco efficace, da distinzione dei ruoli poco chiara o da altri problemi organizzativi.

Quali sono i vantaggi della valutazione dello stress e della formazione?

Valutare lo stress e formare i dipendenti sono due fasi che hanno il beneficio di individuare i processi più stressogeni e limitarne l’effetto, ripensando e migliorando l’organizzazione per renderla più efficace ed efficiente.

Sicuramente modificare l’organizzazione aziendale non è un passaggio semplice ma porta a dei benefici indiscutibili.

Il primo e il più diretto è quello di abbassare lo stress in azienda, migliorando la qualità della vita e il benessere lavorativo dei dipendenti e del titolare, aumentando quindi la motivazione e il coinvolgimento nella mission aziendale.

Il secondo beneficio è di migliorare l’immagine che l’azienda comunica ai propri clienti e stakeholder  portando ad una maggiore soddisfazione nei confronti dei prodotti e dei servizi offerti.

Il terzo beneficio è di conseguenza quello di migliorare il fatturato e di aumentare la redditività dell’azienda, eliminando o riducendo i processi causa di stress e conflitti e quindi aumentando l’efficacia del lavoro dei dipendenti.

Se ne vuoi sapere di più qui

Se hai riflessioni sull’argomento, posta un commento.

… a giovedì prossimo…

 

Giovanni Petrucci

Ti meriti di dire la verità? Sulle bugie bianche.

Tempo fa ad un seminario di autostima sorse il tema delle “bugie bianche”, ovvero quelle bugie che si dicono per non fare stare male il nostro interlocutore.

Ne nacque una discussione accesa, che durò un bel po’. Il pomo della discordia era se una persona con una buona autostima, una comunicazione efficace e una prospettiva assertiva avrebbe detto o meno le bugie bianche.

L’argomento era interessante e i partecipanti non sembravano mollare la presa, dunque demmo spazio alla discussione.

Da una parte alcuni sostenevano che una persona con una buona autostima si pone in rapporto positivo con gli altri, e riesce a dare anche notizie sgradite con il dovuto tatto per non provocare nell’interlocutore una reazione troppo spiacevole.

Dall’altra ribattevano che dire sempre e solo la verità può causare nell’interlocutore un certo malessere nel caso in cui l’informazione tocchi tasti sensibili. Dunque la persona che mira ad un buon rapporto con l’altro strategicamente mente per farlo sentire a suo agio, per proteggerlo da notizie dolorose e per mantenere una relazione positiva.

I primi, contrari alle BB, ammettevano che in alcuni casi la verità può essere spiacevole per il nostro interlocutore, ma che sta a noi rivelargliela e aiutarlo a gestire le sue emozioni. Questo atteggiamento, alla lunga, dicevano che paga in quanto spinge l’altro a “crescere” e a migliorare la propria gestione delle emozioni. In più il rapporto si fortifica basando le radici sulla fiducia e sulla sincerità.

I secondi, quelli favorevoli, asserivano che proteggere l’altro da una emozione negativa è più importante che cercare di farlo crescere, specie se nel contesto non vi sono possibilità di affrontare la questione in modo approfondito.

Durante la discussione sono stati fatti vari esempi da entrambe le parti. Uno mi ha colpito particolarmente: il caso di un figlio che mente sulla destinazione di un viaggio di lavoro al genitore anziano e ansioso. Nello specifico un uomo “avvicina” la meta della trasferta per non fare preoccupare il padre. E’ un ottimo esempio a favore delle BB: che vantaggio strategico avrei a dire la vera destinazione, lontana centinaia di km e caotica, sapendo che l’anziano si  preoccuperà e vivrà in modo agitato il periodo della trasferta? Non è meglio eleggere a meta del mio viaggio un tranquillo paesino a poche decine di km?

La fazione degli avversi mise l’esempio sotto una diversa luce: non è che magari mento sulla destinazione non perché non voglio fare preoccupare il parente anziano ma perché non ho voglia di ricevere decine di telefonate ansiose? E non ho voglia di doverlo rassicurare aggiornandolo periodicamente sulla situazione del traffico? E non mi sento in grado di aiutarlo a gestire (e superare) queste preoccupazioni (peraltro tipiche negli anziani)?

Il cambio di punto di vista fu interessante e convincente: messa così la BB sembra la scappatoia per chi non è in grado o non ha voglia di gestire il vissuto dell’interlocutore. Non protezione dell’altro, ma protezione di noi stessi e della nostra incompetenza. Come dire che solo i più “bravi” si meritano di dire la verità.

I favorevoli, impressionati, riuscirono poi a citare esempi in cui effettivamente il contesto non aiuta a gestire la situazione, come quando c’è poco tempo a disposizione, o ci sono degli estranei presenti. Arrivarono a fare ammettere ad alcuni “avversari” che in questi casi la BB è uno strumento utile per gestire la situazione nell’immediato, salvo poi chiarire la propria posizione in futuro.

Ho riportato quanto scritto perché sono curioso: ti è mai successo di dire una bugia bianca? In che contesto? Come ti sei sentito? E il tuo interlocutore? Pensi che la tua autostima abbia influito?

Scrivi quello che ti è successo, mi piacerebbe approfondire l’argomento.

A presto,

G. Petrucci

PS: sto riflettendo e a breve scriverò anche sul tema contrario: ci meritiamo la verità?

Avere o volere ragione

“La mappa non è il territorio” – Alfred Korzybski. 

Perseguiamo infaticabilmente le nostre verità e le nostre ragioni. La celebre frase di Alfred Korzybski, padre della semantica generale, può avere varie interpretazioni, una delle quali è che la nostra rappresentazione del mondo non è il mondo. Tale rappresentazione può essere distorta o impoverita, ma in ogni caso è relativa al nostro punto di vista di osservatori. Quindi quando ci relazioniamo con qualcuno non possiamo essere detentori della “verità assoluta”, ma di un’opinione sulla realtà, tanto che sotto questo aspetto non ha senso parlare di torto o di ragione. Ogni osservatore ha in genere un po’ di ragione dal suo punto di vista. E la comunicazione è un atto col quale gli interlocutori mettono in comune (seguendo l’etimologia latina) le proprie idee.

La tendenza alla conferma.

Nella letteratura psicologica si parla del fenomeno del “pregiudizio di conferma” (confirmation bias) per indicare la ricerca di prove o l’interpretazione degli eventi in modo che confermino aspettative, credenze o ipotesi della persona. Nel caso delle nostre opinioni o idee, possiamo appunto sovrastimare fatti e prove che le confermano, e sottostimare quelli che non le confermano. Quindi, se “vogliamo” avere ragione su una cosa, questo meccanismo cognitivo ci aiuta (si fa per dire) in questo senso, trovando delle prove.

L’effetto della “prima campana” nelle conversazioni.

Quando parliamo con una persona con cui non abbiamo molta confidenza c’è spesso la tendenza reciproca a non contraddirci apertamente, più di quanto non avvenga con amici e familiari. Prendiamo il caso in cui raccontiamo un diverbio avuto con qualcun altro. Spesso chi ci ascolta si prodiga nel mostrarsi dispiaciuto per il comportamento “scorretto” della persona con cui abbiamo avuto il litigio. E tendiamo a farlo anche noi quando siamo gli ascoltatori.

Le persone spesso credono alla versione dei fatti dell’interlocutore con cui si interfacciano, a meno che non abbiano motivi particolari per ritenerla artificiosa. Dunque se raccontiamo la nostra storia a diverse persone per cercare conferme della nostra ragione, spesso le troveremo d’accordo, ma nulla può garantirci che non ci assecondino più per tatto che per reale convincimento.

Amicizia è parlare “chiaro”?

Potremmo conoscere delle persone che, proprio in virtù della loro amicizia, tendono a darci ragione sulle questioni che abbiamo a cuore. Però l’amicizia porta a un modo di relazionarsi che dipende dallo stile personalissimo degli individui coinvolti, dalle loro credenze, valori e dal contesto socio-culturale. Per molte persone una prova di amicizia è dire: “proprio perché ti conosco da tanto tempo, mi permetto di dirti per il tuo bene che questa volta hai torto se continui su questa linea”, o “a mio parere tu hai ragione su questo e lei su quest’altro”. Qual è il modo giusto per essere amici? Qualsiasi sia la vostra opinione in merito, non vedo come vi si possa dare torto!

Apprendimento continuo e possibilità di arricchire le nostre “mappe” del mondo.

In ogni caso, nella ricerca di conferme alla nostra opinione su un evento più o meno implicita, e nella tendenza all’acquiescenza dell’interlocutore, nemmeno il parlarne con gli amici può garantirci di arrivare a vedere le cose obiettivamente, soprattutto se crediamo nell’esistenza di una verità assoluta chiara e inequivocabile piuttosto che a tanti punti di vista diversi possibili dati da quanti sono gli osservatori e da quanti punti di vista diversi lo stesso osservatore può guardare la questione. In genere, più sfumature vengono esaminate di una questione, e più la nostra “mappa” si può arricchire. Riuscire poi a sospendere il giudizio sulla posizione altrui e cercare di mettersi nei suoi panni non è semplice, ma è una delle abilità che è possibile per l’essere umano sviluppare.

 

 

Giovanni Iacoviello

giovanni.iacoviello@gmail.com

 

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