Avere o volere ragione

“La mappa non è il territorio” – Alfred Korzybski. 

Perseguiamo infaticabilmente le nostre verità e le nostre ragioni. La celebre frase di Alfred Korzybski, padre della semantica generale, può avere varie interpretazioni, una delle quali è che la nostra rappresentazione del mondo non è il mondo. Tale rappresentazione può essere distorta o impoverita, ma in ogni caso è relativa al nostro punto di vista di osservatori. Quindi quando ci relazioniamo con qualcuno non possiamo essere detentori della “verità assoluta”, ma di un’opinione sulla realtà, tanto che sotto questo aspetto non ha senso parlare di torto o di ragione. Ogni osservatore ha in genere un po’ di ragione dal suo punto di vista. E la comunicazione è un atto col quale gli interlocutori mettono in comune (seguendo l’etimologia latina) le proprie idee.

La tendenza alla conferma.

Nella letteratura psicologica si parla del fenomeno del “pregiudizio di conferma” (confirmation bias) per indicare la ricerca di prove o l’interpretazione degli eventi in modo che confermino aspettative, credenze o ipotesi della persona. Nel caso delle nostre opinioni o idee, possiamo appunto sovrastimare fatti e prove che le confermano, e sottostimare quelli che non le confermano. Quindi, se “vogliamo” avere ragione su una cosa, questo meccanismo cognitivo ci aiuta (si fa per dire) in questo senso, trovando delle prove.

L’effetto della “prima campana” nelle conversazioni.

Quando parliamo con una persona con cui non abbiamo molta confidenza c’è spesso la tendenza reciproca a non contraddirci apertamente, più di quanto non avvenga con amici e familiari. Prendiamo il caso in cui raccontiamo un diverbio avuto con qualcun altro. Spesso chi ci ascolta si prodiga nel mostrarsi dispiaciuto per il comportamento “scorretto” della persona con cui abbiamo avuto il litigio. E tendiamo a farlo anche noi quando siamo gli ascoltatori.

Le persone spesso credono alla versione dei fatti dell’interlocutore con cui si interfacciano, a meno che non abbiano motivi particolari per ritenerla artificiosa. Dunque se raccontiamo la nostra storia a diverse persone per cercare conferme della nostra ragione, spesso le troveremo d’accordo, ma nulla può garantirci che non ci assecondino più per tatto che per reale convincimento.

Amicizia è parlare “chiaro”?

Potremmo conoscere delle persone che, proprio in virtù della loro amicizia, tendono a darci ragione sulle questioni che abbiamo a cuore. Però l’amicizia porta a un modo di relazionarsi che dipende dallo stile personalissimo degli individui coinvolti, dalle loro credenze, valori e dal contesto socio-culturale. Per molte persone una prova di amicizia è dire: “proprio perché ti conosco da tanto tempo, mi permetto di dirti per il tuo bene che questa volta hai torto se continui su questa linea”, o “a mio parere tu hai ragione su questo e lei su quest’altro”. Qual è il modo giusto per essere amici? Qualsiasi sia la vostra opinione in merito, non vedo come vi si possa dare torto!

Apprendimento continuo e possibilità di arricchire le nostre “mappe” del mondo.

In ogni caso, nella ricerca di conferme alla nostra opinione su un evento più o meno implicita, e nella tendenza all’acquiescenza dell’interlocutore, nemmeno il parlarne con gli amici può garantirci di arrivare a vedere le cose obiettivamente, soprattutto se crediamo nell’esistenza di una verità assoluta chiara e inequivocabile piuttosto che a tanti punti di vista diversi possibili dati da quanti sono gli osservatori e da quanti punti di vista diversi lo stesso osservatore può guardare la questione. In genere, più sfumature vengono esaminate di una questione, e più la nostra “mappa” si può arricchire. Riuscire poi a sospendere il giudizio sulla posizione altrui e cercare di mettersi nei suoi panni non è semplice, ma è una delle abilità che è possibile per l’essere umano sviluppare.

 

 

Giovanni Iacoviello

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